Le attività umane, e in particolare le emissioni di gas serra e aerosol in atmosfera, influiscono sulla temperatura dell’Oceano Atlantico e di conseguenza su molti fenomeni climatici.
Sono i risultati di uno studio pubblicato di recente sulla rivista Journal of Climate, (tra gli autori, anche i ricercatori CMCC A. Bellucci e S. Gualdi della Divisione CSP – Climate Simulation and Prediction) in cui s’indaga sulle origini della variabilità multidecennale delle temperature marine superficiali nel bacino Nord Atlantico, analizzando un particolare evento climatico, un fenomeno di raffreddamento del Nord Atlantico verificatosi alla metà del XX secolo (1940-75).
Ma che cos’è esattamente la Variabilità Atlantica Multidecadale, da che cosa è provocata, e perché riveste una grande importanza per il clima globale?
La Variabilità Atlantica Multidecadale (AMV – Atlantic Multidecadal Variability) condiziona diverse componenti del clima globale, persino in Europa e nel bacino del Mediterraneo: le condizioni più secche della regione mediterranea, quelle più umide dell’Europa settentrionale, la variabilità delle precipitazioni in Sahel, lo spessore del ghiaccio marino artico e della calotta glaciale della Groenlandia, o la maggiore frequenza degli uragani nella zona atlantica, sono alcuni dei fenomeni idro-climatici influenzati da questo segnale e dalle sue fasi.
Le cause all’origine di questo segnale sono al centro di un dibattito internazionale, recentemente sintetizzato e commentato dalla rivista Nature.
Come sottolineato nell’articolo di Nature, su questo tema si contrappongono da tempo due scuole di pensiero alternative; in passato la comunità scientifica riteneva che questo segnale avesse origine principalmente da processi interni, e in particolare da quelle variazioni naturali che si verificano nella circolazione oceanica e atmosferica. Negli ultimi anni, si è fatta strada invece un’ipotesi che punta il dito sul possibile coinvolgimento dei fattori esterni come principali driver della variabilità atlantica (aerosol, impatti dei vulcani, variabilità solare, incluse le emissioni dei gas serra dovute alle attività umane).
Bellucci ha fornito nuovi spunti e prospettive alla questione con la presentazione dei risultati del suo studio, nel corso del seminario CMCC dal titolo:“The Role of Forcings in the Twentieth-Century North Atlantic Multidecadal Variability: The 1940–75 North Atlantic Cooling Case Study”.
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I ricercatori hanno quindi realizzato un’analisi multimodello, utilizzando un set molto ampio di simulazioni CMIP5 (Coupled Model Intercomparison Project Phase 5), cercando di valutare se queste ultime erano in grado di riprodurre fedelmente lo specifico episodio della storia climatica del XX secolo descritto nello studio, in presenza di diversi forzanti esterni (naturali: vulcani, attività solare e/o antropogenici: gas serra, aerosol, cambiamenti di uso del suolo, ozono).
Le attività umane influiscono sulla temperature marine superficiali dell’Oceano Atlantico e di conseguenza su un gran numero di importanti fenomeni climatici: l’immagine che emerge dall’analisi di Bellucci suggerisce infatti che la Variabilità Atlantica Multidecadale sia il risultato dell’azione combinata di diversi fattori; i fattori antropogenici, come gas serra e aerosol, avrebbero avuto un ruolo chiave nel determinare l’episodio di raffreddamento del 1940-1975, mentre i forzanti naturali (sole e vulcani, essenzialmente) sarebbero stati i principali fattori a influenzare la variabilità atlantica nella prima metà del XX secolo.
Leggi la versione integrale dell’articolo:
Bellucci A., Mariotti A., Gualdi S.
The role of forcings in the 20th century North Atlantic multi-decadal variability: the 1940-1975 North Atlantic cooling case study
2017, Journal of Climate, DOI: 10.1175/JCLI-D-16-0301.1
Per ulteriori informazioni, leggi anche l’articolo “Clima: nuove scoperte sulla variabilità climatica nell’Atlantico”.