L’oceano dagli abissi alla superficie: il nesso cruciale tra clima, risalita delle acque profonde, ed ecosistemi marini
È di fondamentale importanza per la rete alimentare del mondo acquatico, per le condizioni dell’ambiente e la biodiversità dell’oceano, per la pesca e per molte delle attività che si svolgono in mare. Una rappresentazione più realistica della variabilità dei principali sistemi di upwelling, a scale interannuali e decennali, nello studio realizzato dai ricercatori della Fondazione CMCC e pubblicato sulla rivista Nature Scientific Reports.
L’upwelling, o risalita di acque profonde, è un processo in cui le acque fredde e profonde risalgono verso la superficie dell’oceano. Tipicamente queste acque sono più fredde e ricche di nutrienti delle acque superficiali. È questo il motivo per cui gli ecosistemi costieri di upwelling sono fra i più produttivi al mondo e sostengono molte delle più importanti industrie ittiche del mondo.
Solo per fare alcuni esempi, i principali sistemi di upwelling o di risalita di acque profonde (Eastern Boundary Upwelling Systems, EBUS), situati nelle zone orientali dei continenti, ovvero Benguela, California, Humboldt e Canarie, sono alcuni degli ecosistemi marini più produttivi, e forniscono fino al 20% del pescato mondiale, sebbene rappresentino all’incirca solo l’1% dell’oceano globale. I venti di superficie che soffiano lungo la costa possono generare una corrente che viene deviata in direzione ortogonale alla costa e verso il largo; questo fenomeno tende quindi a far risalire acqua dal fondo verso la superficie (la cosiddetta zona eufotica), acqua che risulta più fredda di quella presente in prossimità della superficie e ricca di nutrienti. Nutrienti che, in presenza della luce solare, portano a incredibili fioriture di fitoplancton, alla base della catena alimentare nella maggior parte degli ecosistemi acquatici.
La comprensione dei driver e il monitoraggio dei cambiamenti degli EBUS stanno diventando sempre più importanti: molti studi hanno infatti documentato trend e variazioni alla scala decennale nella struttura degli ecosistemi di upwelling. Il riscaldamento costiero aumenta la stratificazione delle masse d’acqua e potrebbe limitare l’efficacia del fenomeno di risalita in grado di portare in superficie le acque profonde ricche di nutrienti. L’aumento o la riduzione dei venti favorevoli all’upwelling potrebbe inoltre mitigare o amplificare l’effetto del riscaldamento costiero. Eventuali anomalie di salinità, temperatura o velocità delle correnti, in grado di propagarsi lungo la costa, potrebbero infine influenzare la stratificazione della colonna d’acqua, modulando le condizioni biogeochimiche costiere e portando a spostamenti verticali del termoclino, alla base di anomalie al di sotto della superficie marina (per esempio, della salinità), con importanti conseguenze sulla produttività degli EBUS.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare l’influenza esercitata dai principali processi oceano-atmosfera su larga scala (modi climatici): El Niño-Oscillazione Meridionale (ENSO), l’Oscillazione Decadale del Pacifico (PDO), la North Pacific Gyre Oscillation (NPGO), l’Oscillazione del Nord Atlantico (NAO), l’Oscillazione Atlantica Multidecadale (AMO), sembrano tutte avere un ruolo nel controllo della variabilità dell’upwelling.
Lo studio pubblicato sulla rivista Nature Scientific Reports ha come obiettivo quello di modellizzare, comprendere e studiare la variabilità alle scale interannuale e decennale dei principali sistemi di upwelling situati nelle zone orientali dei continenti, e di esplorare come questa variabilità sia legata ai fenomeni climatici su larga scala. Lo studio, diretto da Giulia Bonino, ricercatrice della Divisione CMCC ODA – Ocean modeling and Data Assimilation, realizzato con la collaborazione degli scienziati CMCC Simona Masina e Dorotea Iovino, e di Emanuele Di Lorenzo del Georgia Institute of Technology, si concentra sulla quantificazione delle dinamiche e dei forzanti (venti lungo la costa, stress del vento, profondità del termoclino) che controllano le modulazioni a bassa frequenza (interannuali e decadali) in ciascun EBUS, per determinare come i forzanti siano legati alle dinamiche climatiche a larga scala, e comprendere quindi fino a che punto tali dinamiche influenzino gli EBUS.
I ricercatori hanno rappresentato le dinamiche oceaniche delle aree di upwelling con una simulazione che utilizza il modello di circolazione oceanica globale NEMO (dal 1958 al 2015). Per quantificare l’upwelling inoltre, sono stati introdotti nella simulazione dei traccianti passivi, continuamente rilasciati in ogni EBUS sotto la superficie marina (150-250 m), in un’area che si estende dalla costa a 50 km al largo. L’analisi statistica della concentrazione dei traccianti passivi in superficie, che rappresenta la risalita delle masse d’acqua costiere, ha permesso di studiare i driver della variabilità e dei trend dell’upwelling.
“I risultati hanno messo in luce l’unicità di ciascun EBUS in termini di driver e di variabilità climatica”, spiega Giulia Bonino. “I venti che soffiano lungo la costa, la stratificazione delle masse d’acqua, la profondità del termoclino, spiegano quasi interamente la variabilità dell’upwelling a scala interannuale, con un contributo relativo che varia da una regione all’altra. Pertanto, al fine di prevedere e proporre ipotesi sulle variazioni a lungo termine dell’upwelling, sarà essenziale identificare un adeguato indice di upwelling sulla base dei principali driver di ciascun dominio. In particolare, le variazioni dei venti costieri e la stratificazione delle masse d’acqua dovranno essere considerate, a seconda dei casi, come driver potenzialmente in competizione o complementari di variabilità dell’upwelling, in presenza di cambiamento climatico.”
La seconda importante questione affrontata nello studio riguarda l’influenza della variabilità climatica su larga scala sull’upwelling nel lungo termine, e l’entità con cui questa è coerente tra i vari EBUS. “La variabilità associata ai modi climatici potrebbe rivelarsi cruciale per predire future alterazioni alle scale interannuale e decennale”, spiega Giulia Bonino. “I nostri risultati mostrano segnali di riscaldamento globale, caratterizzati da forti venti di upwelling, nella regione del Benguela. In una prospettiva climatica più ampia, gli EBUS non mostrano la stessa variabilità, fatta eccezione per la ben nota influenza di ENSO nei due sistemi del Pacifico. Pertanto, i sistemi di upwelling dell’Atlantico e del Pacifico risultano essere due sistemi indipendenti. Estendere l’analisi attuale a un orizzonte temporale più ampio (con modelli accoppiati e con lo stesso approccio dei traccianti passivi descritto) aiuterà a chiarire ulteriormente questi temi, permettendoci di confrontare i diversi risultati e confermare eventuali teleconnessioni inaspettate tra i sistemi di upwelling dei diversi emisferi.”
Tutte le figure dello studio sono disponibili qui.
Per approfondire:
L’articolo sulla rivista Nature Scientific Reports:
Bonino, G., Di Lorenzo, E., Masina, S. et al. Interannual to decadal variability within and across the major Eastern Boundary Upwelling Systems. Sci Rep 9, 19949 (2019). https://doi.org/10.1038/s41598-019-56514-8